Ci ha lasciato Sergio Scisciot

Sergio Scisciot 1930-2019

Ha raggiunto l’Assoluto al quale ha aspirato nella sua intensa vita di insegnamento, di poesia e di montagna.

Nato il 23 maggio 1930, è stato socio della nostra sezione dal 1965. Nel 2014 aveva ricevuto l’Aquila d’oro per i cinquant’anni di associazione. Ci ha lasciato l’8 aprile 2019. Alla moglie Luisa e alla famiglia, la Sezione rivolge le più sincere ed affettuose condoglianze.

L’ultimo saluto oggi mercoledì 10 aprile, Parrocchia di San Gennaro al Vomero, a via Bernini, alle ore 17.

Insegnante di storia e filosofia nei licei classici napoletani, è stato appassionato maestro di generazioni di allievi. Autore di liriche e saggi filosofici, ha trasmesso nella sua scrittura la sua commossa emotività e la sua grande spiritualità, protesa verso la fede. Escursionista di lunga esperienza, maestro di sci da fondo per tanti soci, è stato leader del coro della sezione napoletana del CAI. Tanti di noi lo ricordiamo entusiasta, energico ed estatico insieme, davanti alla bellezza delle montagne che ha tanto amato.

Nell’Appennino meridionale II, 2 (2005), aveva ripubblicato il racconto in versi che qui riproponiamo, per salutarlo come avrebbe amato.

Una domenica al Monte Tranquillo

Il bosco cristallizzato era una fiaba,

una fiaba bianchissima

che nascondeva e svelava la pista da fondo

intatta ancora, immacolata.

Già non avvertivamo

più quasi

l’odore caldo e buono

della legna bruciata,

così caratteristico dei paesi d’Abruzzo.

Silenzio d’attorno;

ma, a tratti, il rombo alto dei rami

agitati a migliaia sulla cresta ventosa,

che era un rombo pieno e immenso,

passava impetuoso e colpiva l’udito.

E poi… ancora quieto silenzio.

E in alto la profondità di celesti

scialbati, lontani lontani

aveva un senso allegorico.

Ormai affaticato salivo

scivolando sulla neve passo dopo passo.

Lo sguardo fisso alle code rosse dei tuoi sci, Luisa,

cara compagna di una incredibile favola: lontane le cose,

le voci, il mondo…

Rapiti ormai dallo sforzo,

dal gesto ritmico ed elegante,

nella gioia di ogni cellula

nervosa cardiaca muscolare, andavamo,

e non eravamo più noi due a salire la montagna

ma la montagna stessa ci spingeva:

eravamo entrati nel momento magico

che l’alpinista conosce

ed attende

e al quale si affida per vincere:

l’immedesimazione con la montagna,

la comunione piena con la natura,

momento atletico ed ascetico.

Poi calò la nebbia soffice ed umida

ed il bosco e la pista diventarono,

nel silenzio ovattato ed assoluto,

un enigma e un sogno

che ci aveva nascosti

e seguitava a nasconderci

fino a un atteso, opaco, pigro risveglio.

Inseguivamo un’ulteriorità infinita

di curva in curva,

penetrando – sembrava – in un nulla,

ma era impagabile l’avvertimento pieno e convinto,

mentale muscolare e insieme istintuale

di ascendere verso una meta elevata,

dove c’è sempre molto spazio

e silenzio

per sentire e pensare con calma

in modo lento e umano.

Ti seguivo e ti amavo

perché sapevo che grazie a te

quel bosco, quell’ora

sarebbero sempre rimasti nel cuore.

E nascosti a ogni mondo,

vivendo noi in due un unico sogno

continuavamo a salire

fatti neve, fatti vento, fatti uguale biancore,

dalla grande montagna presi

e celati,

difesi e protetti,

sicuri,

guardati e vegliati.

Avvertii chiarissima l’anima metafisica delle cose,

quando annunziato da un chiarore,

dietro una finestra della nebbia

esplose l’azzurro profondo

e tutto d’attorno si aprì e tu Luisa gridasti di smarrimento

vedendo come sorgere dal nulla

l’improvvisa esistenza delle cose,

dei tronchi, delle rocce.

E al ritorno

stanchi,

stanchi di essere troppo felici

sostammo e riguardammo indietro.

Le rocce, esaltate dal biancore diffuso

emergevano nere nerissime

fra selve di aceri e faggi bruni;

le selle ghiacciate, invece, fiammeggiavano bianche,

lucide e lisce;

sulla distesa bianca due tracce appaiate di sci

ora parallele ora intrecciate

due soltanto, le nostre:

quel giorno nessuno era salito dopo di noi.

Guardammo lo stupendo immenso scenario

sotto il grigio e alto mantello del cielo invernale

freddo ed immoto

e pensammo insieme:

“Tutto questo è stato per noi,

oggi solamente per noi. Grazie Iddio.”